A partire dagli inizi degli anni ’90, da quando i Disordini dello Spettro dell’Autismo sono entrati ufficialmente nel manuale statistico e diagnostico dei disordini mentali (terza edizione), gli studi dedicati all’individuazione della “cura” per tali disordini del neurosviluppo sono in costante crescita. Tuttavia, ad oggi non è stato ancora possibile trovare un trattamento d’elezione, e tale condizione è un riflesso della grande eterogeneità e variabilità dell’autismo. Infatti, nonostante sia caratterizzato dalla manifestazione di sintomi “core”, comuni a tutti gli individui e condizione necessaria per stabilire una diagnosi, nell’autismo la manifestazione dei sintomi, fra un individuo e l’altro, è completamente diversa, sia in termini di gravità, sia in termini di presentazione. Questa sintomatologia così diversificata è il frutto di processi endogeni altrettanto variabili, non riconducibili ad un singolo processo alternato, ma bensì ad una condizione più complessa e di difficile identificazione.
Ad oggi, secondo quanto emerso da anni di ricerca in questo ambito, si pensa che l’autismo sia una condizione che in buona parte dei casi si instaura a causa di una predisposizione genetica, anche se non si può parlare di una specifica alterazione associabile a questa condizione, bensì sarebbe più opportuno parlare di una moltitudine di geni la cui compromissione potrebbe svolgere un ruolo nell’insorgenza di tali disordini. In aggiunta alla predisposizione del singolo, è poi l’esposizione a determinati fattori esterni (il così detto environment), a far esacerbare tale condizione. Date queste circostanze, è comprensibile come sia profondamente difficile ad oggi trovare un trattamento unico e parlare di cura. Piuttosto, opinione sempre più diffusa è quella di parlare di diversi “autismi”, essendo una condizione ad elevata variabilità di manifestazione, unico per ogni individuo, la cui combinazione della miriade di fattori, sia propri, sia esterni, può indurre tale condizione nell’individuo. Si fa quindi sempre più avanti l’ipotesi che oggi, l’obiettivo sia trovare un trattamento che possa beneficiare specifici sottogruppi di individui con autismo, che presentano un quadro clinico il più possibile in comune o simile. Questa visione, ancora profondamente incerta, ha comunque portato e sta portando tuttora a dei risultati di grande importanza, perché al di là della, necessaria, ricerca di un trattamento farmacologico efficace, la farmacologia ci permette di scovare e capire quali meccanismi sottendono un particolare quadro sintomatologico, potendo così verificare a piccoli passi le cause.
Fatta questa premessa, a partire da due revisioni della letteratura pubblicate recentemente (Henneberry et al., 2021 e Thom et al., 2021), vogliamo riassumervi in questo e nei prossimi articoli, i principali trial clinici che negli ultimi anni sono stati svolti, raggruppandoli per obiettivo primario di trattamento, dove l’obiettivo primario corrisponde ad uno dei sintomi “core”, o comorbidità, riscontrati negli individui con autismo. In questo articolo in particolare, ci soffermiamo sui disordini della sfera sociale, in particolare, vi parleremo dei trial clinici rilevanti svolti negli ultimi anni e riguardanti nello specifico i seguenti potenziali farmaci: ossitocina, vasopressina e memantina.
Ossitocina
L’ossitocina è un ormone di natura proteica, cioè un peptide, che ha proprietà neurotrasmettitoriali, per questo viene anche definito un neuropeptide, cioè una sostanza che è in grado di legarsi alla membrana neuronale e innescare dei processi che mettono in comunicazione i neuroni. Tale ormone, prodotto e rilasciato dai neuroni sovraottici e paraventricolari dell’ipotalamo, è stato visto svolgere un ruolo fondamentale nella formazione dei legami interpersonali e nel comportamento genitoriale, e nel formare legami sociali sia negli umani che negli animali. Negli ultimi anni sono stati realizzati numerosi trial clinici con il fine di testare la sua efficacia sui deficit del comportamento sociale in individui con autismo. Nella tabella sottostante abbiamo riassunto in maniera schematica i risultati dei principali studi svolti su negli ultimi anni su tale ormone. Tuttavia, le evidenze emerse sono abbastanza controverse.
Autori |
Metodi |
Risultati |
Kruppa et al., 2019 |
Somministrazione di ossitocina intranasale una volta al giorno per 2 giorni consecutivi. |
Il gruppo sperimentale ha dimostrato un aumento nell’apprendimento quando esposto a target e feedback sociali. |
Bernaerts et al., 2020 |
Somministrazione intranasale di ossitocina una volta al giorno per 4 settimana consecutive. |
Sia il gruppo sperimentale, che il gruppo di controllo, ricevente placebo, hanno dimostrato un aumento secondo quanto misurato dal questionario Social Responsiveness Scale (SRS), tuttavia non è emersa differenza significativa fra i gruppi. |
Yamasue et al. 2020 |
Somministrazione intranasale di ossitocina una volta al giorno per 6 settimane consecutive. |
Sia il gruppo sperimentale che il gruppo di controllo hanno dimostrato un aumento nella misura della scala “reciprocità” dell’ADOS, tuttavia non è emersa una differenza statisticamente significativa fra i gruppi. |
Sikich et al., 2021 |
Somministrazione intranasale di ossitocina una volta al giorno per 6 mesi. |
Nessuna differenza emersa fra il gruppo di controllo e quello sperimentale nel valore della scala “evitamento sociale” della checklist Abberant Behavior. |
Vasopressina
La vasopressina è un peptide con funzione di ormone, con struttura simile all’ossitocina, con la quale condivide il precursore di sintesi, la neurofisina. La vasopressina, come l’ossitocina, svolge funzioni neurotrasmettitoriali, venendo anch’essa prodotta e rilasciata dai neuroni sovraottici e paraventricolari dell’ipotalamo. La principale funzione svolta dalla vasopressina è nel riassorbimento a livello renale e nell’aumento della resistenza vascolare periferica, tramite la regolazione dell’asse ipofisi-ipotalamo-surrene, da cui deriva il suo nome di “ormone antidiuretico”. Inoltre, tramite il legame con il recettore V1a a livello centrale, la vasopressina esplica una funzione molto diversa; infatti, sembra essere coinvolta nella regolazione del comportamento sociale e aggressivo, in preclinica e clinica; tuttavia, il meccanismo che è alla base di questa funzione svolta, è ancora in fase di studio, poiché scoperta abbastanza di recente. Cosa interessante è che è stato visto che in soggetti con autismo, sono stati identificati delle varianti dei recettori V1a in diversi studi, facendo ipotizzare una compromissione del legame della vasopressina con il recettore corrispondente. Sono presentati qui di seguito i principali risultati di due recenti studi.
Autori |
Metodi |
Risultati |
Bolognani et al., 2019 |
Somministrazione giornaliera di 3 diverse dosi di balovaptan (un antagonista competitivo selettivo del recettore V1a) per 12 settimane. |
Non è emersa differenza significativa fra il gruppo di controllo e i gruppi sperimentali, secondo le misure del questionario SRS-2 |
Parker et al., 2019 |
Somministrazione intranasale di una dose di arginina-vasopressina per 4 settimane. |
È emersa una differenza significativa fra i due gruppi, secondo quanto riportato nel questionario SRS-2 compilato dai caregiver e dal Clinical Global Impression-Improvement valutato dai clinici. |
Antagonista competitivo selettivo: farmaco che legandosi al recettore specifico, impedisce il legame con l’agonista e indirettamente blocca la sua funzionalità.
Memantina
La memantina è un antagonista non competitivo del recettore del glutammato, l’N-metil-D-aspartato (NMDA). Farmaco già approvato per il trattamento dell’Alzheimer. Il potenziale impiego della memantina per il trattamento dei sintomi dell’autismo deriva da evidenze riguardanti un’eccessiva attività glutammatergica a livello cerebrale in soggetti con autismo, essa fungendo da antagonista non competitivo, regola il legame del glutammato con il recettore corrispondente modulandone l’eccessiva attività.
Antagonista non competitivo: farmaco che può legarsi, contemporaneamente all’agonista, al recettore, e la sua presenza riduce o inibisce l’azione dell’agonista.
Autori |
Metodi |
Risultati |
Hardan et al., 2019 |
Somministrazione giornaliera di memantina, testata in 3 studi diversi e in diversi dosaggi: · Primo studio: fino a 50 settimane (per testare sicurezza, efficacia e tolleranza) · Secondo studio: 12 settimane (per testare sicurezza, efficacia e tolleranza in pazienti che hanno già assunto memantina nel primo studio per almeno 12 settimane e stanno avendo una risposta) · Terzo studio: fino a 48 settimane (per testare la sicurezza a lungo termine e la tolleranza della memantina nei pazienti del secondo studio in cui la riduzione di dose ha provocato la perdita di efficacia e nei pazienti che hanno terminato il primo studio). |
· Primo studio: 60 % dei pazienti ha mostrato un incremento nei punteggi dell’SRS entro le 12 settimane di trattamento · Secondo studio: non è emersa nessuna differenza significativa nella percentuale di pazienti che ha perso gli effetti del farmaco, fra i gruppi sperimentali e il controllo. · Terzo studio: è stato concluso prematuramente, non per l’insorgenza di ulteriori effetti collaterali rispetto allo studio 2, ma per non sottoporre ad ulteriore stress i pazienti e le famiglie. |
Karamhmadi et al., 2018 |
La somministrazione per via orale di memantina per 2 volte al giorno per 3 mesi consecutivi è stata valutata in associazione alla terapia ABA. |
Il gruppo che ha ricevuto la memantina ha dimostrato un aumento significativo del valore globale della GARS (The Gillian Autism Rating Scale) e della scala relativa all’interazione sociale. |
Nel complesso gli studi più recenti hanno senza dubbio fatto compiere dei passi in avanti nella conoscenza della psicofarmacologia delle compromissioni sociali che accompagnano l’autismo. Tuttavia, questi risultati non permettono un cambiamento dello standard of care, cioè nell’impiego di quegli interventi che ad oggi hanno dimostrato avere un effetto migliorativo sulla sintomatologia, in primo luogo gli interventi comportamentali intensivi e precoci (EIBI). Se da una parte, volendo valutare i risultati da un punto di vista metodologico, probabilmente studi effettuati su campioni più grandi e utilizzino misure di outcome più adatte che possano evitare l’effetto placebo che invece in alcuni studi è emerso, potrebbero sicuramente migliorare le attuali conoscenze, dall’altra si osservano delle importanti controversie e difficoltà che allontano dal raggiungimento di un’evidente efficacia e che probabilmente non sono solo legate ad aspetti metodologici, ma piuttosto concettuali.
Occorre tenere sempre presente che l’autismo è un disturbo del neurosviluppo che accompagna l’individuo durante tutto il suo corso di vita, e in cui la stessa diagnosi prevede l’osservazione e la misurazione di comportamenti alterati, i quali a loro volta implicano una fisiopatologia che include un ombrello di vettori genetici e molecolari che a volte possono convergere e altre volte no, traducendosi in modelli di comportamento alterato simili, ma comunque derivanti da concause diverse. Un trattamento farmacologico efficace dei sintomi “core” nell’autismo dovrebbe prevedere uno sforzo maggiore nell’identificazione della sottotipizzazione biologica che corrisponde potenzialmente a piccole percentuali di persone con autismo che condividono comuni caratteristiche fisiologiche e che potrebbero beneficiare di un determinato farmaco mirato o di una combinazione di farmaci.
Referenze
Bernaerts, S. et al., (2020). Behavioral effects of multiple-dose oxytocin treatment in autism: A randomized, placebo-controlled trial with long-term follow-up. Molecular Autism, 11(1), 6.
Bolognani, F. et al., (2019). A phase 2 clinical trial of a vasopressin V1a receptor antagonist shows improved adaptive behaviors in men with autism spectrum disorder. Science Translational Medicine, 11(491), 7838.
Farzaneh, B. (2018). Efficacy of memantine as adjunct therapy for autism spectrum disorder in children aged 14 years. Advanced Biomedical Research.7-131.
Hardan, A. Y. et al., (2019). Efficacy and safety of memantine in children with autism spectrum disorder: Results from three phase 2 multicenter studies. Autism, 23(8), 2096–2111.
Henneberry, E. et al. (2021). Decades of Progress in the Psychopharmacology of Autism Spectrum Disorder. Journal of Autism and Developmental Disorders. 51, 4370–4394.
Kruppa, J. A. et al., (2019). Neural modulation of social reinforcement learning by intranasal oxytocin in male adults with high functioning autism spectrum disorder: A randomized trial. Neuropsychopharmacology, 44(4), 749–756.
Parker, K. J. et al., (2019). A randomized placebo-controlled pilot trial shows that intranasal vasopressin improves social deficits in children with autism. Science Translational Medicine, 11(491), 7356.
Sikich, L. et al., (2021). Intranasal Oxytocin in Children and Adolescents with Autism Spectrum Disorder. The New England Journal of Medicine, 385 (16), 1462-1473.
Thom, R. P. et al. (2021). Recent Updates in Psychopharmacology for the Core and Associated Symptoms of Autism Spectrum Disorder. Current Psychiatry Reports. 23:79.
Yamasue, H. et al., (2020). Effect of intranasal oxytocin on the core social symptoms of autism spectrum disorder: A randomized clinical trial. Molecular Psychiatry, 25(8), 1849–1858.