I deficit nelle abilità di imitazione sono una caratteristica quasi sempre osservata nei bambini con autismo. Tuttavia, tali deficit non hanno sempre lo stesso grado di compromissione e non si manifestano sempre nello stesso modo. Infatti, alterazioni nelle abilità imitative potrebbero riscontrarsi nei movimenti del corpo simbolico e non simbolico, nelle vocalizzazioni, nelle espressioni facciali, oppure ancora nell’utilizzo simbolico o non simbolico degli oggetti. Considerando il ruolo centrale svolto da tale abilità nell’apprendimento e nello sviluppo, diversi studi hanno ipotizzato e confermato il coinvolgimento dell’imitazione nei processi di apprendimento e nello sviluppo di specifiche abilità nella vita del bambino. Quindi, quando compromessa causerebbe alterazioni negli ambiti in cui è coinvolta.
Partendo da queste osservazioni, il presente articolo, scritto da Ingersoll Brooke, ha cercato di affrontare da diversi punti di vista, le problematiche relative alle abilità di imitazione trovate nei bambini con autismo. In particolare, l’articolo ha diversi scopi: prima di tutto si occupa di descrivere la funzione “sociale” svolta dall’imitazione, e il suo ruolo nello sviluppo delle abilità di comunicazione sociale; approfondendo l’associazione fra i deficit di imitazione e le compromissioni della comunicazione sociale. Successivamente, descrive due metodi utilizzati negli interventi EIBI (Early Intensive Behavioral Intervention) per l’insegnamento delle abilità di imitazione, mettendo a confronto un metodo che si realizza in ambiente strutturato e uno che impiega un approccio più naturalistico.
Il ruolo dell’imitazione nello sviluppo del bambino e sue implicazioni nell’autismo
Nei bambini a sviluppo tipico, l’imitazione è un comportamento che emerge sin dai primi anni di vita ed ha due principali funzioni nello sviluppo: una funzione di apprendimento e una sociale. In particolare, tramite l’imitazione, i bambini apprendono nuove abilità, le quali a loro volta gli permettono, in futuro, di essere coinvolti in scambi sociali ed emozionali più complessi.
In questo articolo si approfondisce il ruolo dell’imitazione nello sviluppo delle abilità sociale e di comunicazione, focalizzandosi prima di tutto sulle principali evidenze che sostengono questa ipotesi.
Nelle primissime fasi dello sviluppo le interazione faccia a faccia che avvengono fra il bambino e il caregiver, che può essere il genitore o chi si occupa di lui in questa prima fase della vita, sono caratterizzate da un reciproco scambio di imitazioni delle espressioni facciali e delle vocalizzazioni, e sembra che questo processo sia fondamentale per diverse abilità relative alla comunicazione sociale del bambino, alla comunicazione dell’interesse sociale per una data persona, alle modalità per condividere le sensazioni, e al modo per controllare gli scambi comunicativi che avvengono durante le conversazioni. Intorno alla fine del primo anno di vita, l’imitazione inizia a svolgere un ruolo importante nel gioco con oggetti o giocattoli, mediato dagli adulti, dove il bambino imita come l’adulto gioca con essi; inoltre diventa il principale strumento con cui si accresce e si alimenta il legame fra madre e figlio e sempre tramite l’imitazione svolta durante i giochi, il bambino impara i primi gesti affettivi intorno ai due anni di vita.
Successivamente, quando il bambino inizia ad interagire con i pari, l’imitazione continua a svolgere un ruolo fondamentale, considerando che l’imitazione della manipolazione dello stesso oggetto o gioco corrisponde spesso al primo passo per iniziare un’interazione fra bambini. Inoltre, il mantenimento della reciproca imitazione è alla base dell’interazione sociale e della comunicazione preverbale fra i pari durante l’infanzia e nell’acquisizione di abilità più complesse. Tutte queste evidenze scientifiche hanno fatto ipotizzare che le compromissioni del comportamento imitativo, presenti sin dai primi anni di vita, possono ostacolare lo sviluppo di tutte quelle abilità, in particolare sociali e comunicative, che si manifestano durante la crescita, e di cui effettivamente gli individui con autismo risultano deficitari nella maggior parte dei casi.
A supportare questa ipotesi, ci sono anche diverse evidenze emerse dalla letteratura, che hanno riscontrato in bambini con autismo, associazioni fra deficit nell’imitazione e compromissioni di altre abilità di comunicazione sociale, in particolare il linguaggio, il gioco e l’attenzione congiunta. Considerando che l’imitazione è coinvolta sia nell’apprendimento che nello sviluppo delle abilità sociali, se compromessa è molto probabile possa provocare effetti molto profondi sia sull’apprendimento che sullo sviluppo.
Metodo di apprendimento in ambiente strutturato
Uno dei metodi di insegnamento delle abilità imitative utilizzato nella pratica clinica per quanto riguarda la terapia cognitivo-comportamentale è il discrete trial training (DTT) o insegnamento per prove discrete. Esso consiste in una serie di sessioni di apprendimento in ambiente strutturato, durante le quali il bambino e il terapista svolgono specifiche attività che mirano a fare apprendere alcune abilità al bambino, incluse le abilità di imitazione. Durante queste sessioni, il terapista guida il bambino a replicare le azioni da lui svolte, fornendo al bambino dei prompt che il terapista andrà man mano a sfumare, e l’utilizzo di rinforzi contingenti. Sebbene questo metodo sia risultato essere efficace in numerosi studi, presenta dei limiti principalmente legati all’ambiente strutturato che viene impiegato, il quale potrebbe compromettere la messa in atto spontanea di tale abilità, e la generalizzazione in ambiente naturale, ambiente che coinvolge i familiari e i pari. In tal modo c’è il rischio di limitare l’apprendimento di questa abilità in contesti naturali, quelli in cui la funzione sociale dell’imitazione trova la sua massima applicazione ed efficacia per lo sviluppo di abilità sociali e comunicative più complesse.
Metodo di apprendimento in ambiente naturalistico
Un metodo che sembra superare i limiti imposti dal DTT è il Reciprocal imitation training (RIT), il quale è un tipo di apprendimento svolto in ambiente naturale con il fine di sviluppare l’utilizzo sociale dell’imitazione in sessioni di gioco. Durante il RIT si cerca di stimolare il bambino a compiere delle imitazioni in maniera spontanea lavorando particolarmente sull’imitazione contingente, cioè il terapista inizia ad imitare quello che il bambino fa con gli oggetti o con i giochi, attraverso dei movimenti corporei o delle vocalizzazioni, coinvolgendo un set di oggetti e giochi adatti al livello di sviluppo del bambino. Una volta che il bambino prende coscienza dell’imitazione contingente del terapista, al bambino viene insegnato ad imitare il terapista e tale processo ha molteplici scopi, in primo luogo fa capire al bambino che l’imitazione non è solo utile per l’apprendimento, ma anche per l’interazione sociale, e conseguentemente il bambino sviluppa una motivazione intrinseca a farlo. Successivamente, il terapista inizia a compiere delle azioni che coinvolgono l’oggetto o il gioco in questione, che sono familiari al bambino, cioè azioni che lui compie normalmente, le quali per facilitare il processo inizialmente potrebbero anche coinvolgere delle azioni che riguardano i suoi interessi speciali o le sue stereotipie (ad esempio fa ruotare le ruote di una macchina per farla camminare, oppure impilare i lego per fare delle torri). A questo punto, il terapista potrà iniziare ad introdurre nuove azioni con gli stessi giocattoli che non appartengono al repertorio del bambino e che sono funzionali rispetto a quel determinato oggetto o giocattolo (come ad esempio vestire un bambolotto, inserire dei personaggi all’interno di una macchinina, oppure ancora far finta di mangiare del cibo). Inoltre, in questo contesto si utilizzano generalmente dei rinforzi sociali, i quali funzionano anche fuori dall’ambiente di apprendimento, anche nell’ambiente naturale, favorendo ulteriormente la generalizzazione delle abilità imitative apprese. Aspetto molto importante che si cerca di evitare durante le sessioni di RIT, sono i comandi, questo per evitare che il bambino imiti in risposta ad un comando, piuttosto che ad una motivazione intrinseca, quindi il terapista eviterà di dire “Fai così”, preferendo invece una descrizione verbale dell’azione che sta compiendo con il giocattolo, oppure emette dei suoni relativi a quell’azione, ad esempio “wish, wish…”, se sta facendo nuotare dei pesciolini. Infine, con lo scopo di generalizzare il più possibile le abilità di imitazione, il bambino verrà rinforzato qualsiasi risposta imitativa faccia, senza soffermarsi troppo sulla perfezione delle azioni, se invece l’imitazione non inizia al terzo tentativo del terapista, in quel caso il terapista darà una guida fisica al bambino.
Commento finale all’articolo
Nel complesso, in questo studio Ingersoll, ricercatrice che ha svolto numerosi studi sulle abilità di imitazione, soprattutto nella loro applicazione nella comunicazione e comportamento sociale, ha descritto un metodo innovativo per il periodo in cui è stato pubblicato l’articolo, ma che con il passare del tempo è stato integrato in molti percorsi di terapia, diventato un metodo molto impiegato. Come indicato alla fine del testo, le evidenze di quel periodo non permettevano di identificare quale dei due approcci fosse più adatto per insegnare l’imitazione come precursore delle abilità sociali e di comuinicazione, e studi successivi avrebbero potuto spiegare meglio questo aspetto.
Tuttavia, la ricerca ci insegna che il trattamento dei disturbi dello spettro dell’autismo non presenta dei metodi univoci e di elezione, bensì il percorso di trattamento è disegnato in base alla valutazione del bambino e alle sue necessità. Quindi, in base alle aree di intervento selezionate, in cui il bambino risulta “carente”, verranno definiti specifici obiettivi che la terapia dovrà raggiungere, a breve o lungo termine. L’imitazione nello specifico è una fase comune a molti processi di apprendimento in ambiente strutturato e viene insegnata per mantenere attiva l’attenzione del bambino, quindi il terapista attirerà l’attenzione del bambino chiedendogli di ripetere delle azioni che il bambino sa fare, ma dietro questa abilità il bambino ha appreso ad imitare, se l’imitazione non faceva già parte del suo repertorio di abilità. In conclusione, come spesso accade quando si mettono a confronto l’insegnamento in ambiente strutturato, rispetto all’ambiente naturale, di qualsiasi abilità, non esiste un metodo migliore in assoluto, ma bensì esistono degli accorgimenti che si adattano meglio a quel bambino e ai suoi reali bisogni, anche in funzione del suo livello di funzionamento.